Sempre più aziende si stanno opponendo allo smart working costringendo così i lavoratori a compiere una scelta drastica.
Se in piena pandemia lo smart working è stata la cosiddetta “manna dal cielo” grazie alla quale tantissimi lavoratori non hanno perso il posto di lavoro e al contempo tantissime aziende non sono fallite dichiarando bancarotta o chiudendo sotta la morsa stringente del virus, adesso il mondo sembra essere tornato del tutto alla normalità e pare proprio che in questa ritrovata normalità il lavoro da remoto non sia contemplato.
Se nel resto del mondo, infatti, la soluzione ibrida o lo smart working al 100% convince e funziona, in Italia c’è una certa difficoltà al momento, un po’ come sta accadendo ai lavoratori del consorzio interuniversitario Cineca, ente che tra le tante cose promuove soprattutto la transizione digitale, in questo momento però in fase di stallo a seguito di una protesta, con conseguente sciopero, scoppiata e supportata dai sindacati Cgil, Cisl e Uil.
Su un totale di 1.137 dipendenti a livello nazionale in varie città, al momento la sede più calda è quella milanese dove sono 63 le persone che vi lavorano. Ma non solo. Oltre a 70 atenei italiani, l’ente annovera 2 ministeri e 46 istituzioni all’interno del proprio consorzio, tant’è che si tratta di uno dei maggiori “centri di calcolo in Italia e uno dei più avanzati al mondo per il calcolo ad alte prestazioni“, come riportato da ‘Il Giorno’.
In altre parole, Cineca resta uno dei fornitori di punta in merito a soluzioni e servizi per il mondo dell’università e della ricerca. A breve però potrebbe cambiare tutto e in peggio per i dipendenti: “alcuni sono stati costretti a licenziarsi proprio per l’impossibilità di conciliare lavoro e vita privata. Chiediamo a Cineca di tornare sui suoi passi e di aprire un dialogo sulla nostra piattaforma di proposte“, ha spiegato Mario Grasso (Uiltucs) sottolineando la condizione critica dei lavoratori dell’ente.
Il problema però è che i vertici di Cineca non sembrano disposti a fare un passo indietro sullo smart working, aspetto ritenuto cruciale e non negoziabile. Come ha spiegato lo stesso Grasso, una parte consistente dei dipendenti ha usufruito di uno smart working pieno, perché diversi dipendenti non vivono a Milano e comunque hanno mansioni che non richiedono la presenza in sede.
Tuttavia, Cineca ha deciso di rimodulare il lavoro da remoto “stabilendo un limite massimo di 10 giorni mensili di smart working“, ha sottolineato sempre Grasso sollevando un’altra questione importante, la reperibilità “che sta peggiorando le condizioni di lavoro, costringendo alcuni a connettersi dal treno o da casa“. Se la stretta sullo smart working e reperibilità dovesse continuare però, in molti (e c’è chi già l’ha fatto perché non ha avuto scelta) potrebbero rassegnare le dimissioni.
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